Chiamatemi Israele:l’ultimo eremita di Palermo.

A Palermo e dintorni Nino, ribattezzatosi Isravele, è diventato un mito. L’eremita di Capo Gallo è così che tutti ormai lo chiamano. Perchè è in cima alla Riserva Naturale di Capo Gallo che quasi 30 anni fa (era il 1997) ha deciso di abitare. In cima a monte gallo esiste una costruzione e questo luogo è diventato la sua casa, anzi – per meglio dire – il suo santuario: il Semaforo di Monte Gallo.

Si tratta di una costruzione di origine borbonica, sorta come postazione di vedetta della Reale Marina Militare Borbonica al tempo del Regno delle Due Sicilie. Si trova infatti in un punto strategico che permette la vista di tutta la costa a ovest fino a San Vito Lo Capo e dal lato opposto di tutto il Golfo di Palermo, fin quasi a Cefalù.

Da quasi 30 anni a questa parte, poi, il semaforo è tornato alla ribalta grazie a Isravele, che lo ha scelto come dimora. Ex muratore di corso dei Mille, dal 1997 lo abita. L’eremita-artista lo ha praticamente messo a nuovo, impreziosendolo con mosaici realizzati con frammenti di vetro, bottiglie e conchiglie.

“Faro di Dio” è il nome che Isravele ha dato al semaforo, “via Santa” alla via per raggiungerlo. Per lui l’opera di riqualificazione del semaforo è un “omaggio a Dio” e per questo il suo obiettivo è farne un santuario.

Sessantasei anni,ci ha confidato la scorsa volta preso da una insolita voglia di chiacchierare (perché spesso è taciturno e  non sempre si fa vedere),due occhi taglienti e una barba bianca che gli incornicia il viso, Isravele è dal 1997 il guardiano in pectore del semaforo di Monte Gallo.Nino (il suo vero nome) non ha completamente abbandonato la società, si divide infatti tra la cima del monte e la zona di Corso dei Mille, dove risiede la sua famiglia. «Vengo dall’altro lato della città a piedi, portando i materiali che servono per completare le mie opere – confida – spesso salgo in montagna con 25 kg di cemento sulle spalle».Ci confida di scendere in media ogni settimana,perché dice:non sono separato,ho tre figli e quattro nipoti.Coltiva qualche ortaggio,e raccoglie l’acqua piovana.Ha costruito muretti a secco con cui ha disegnato sinuosi sentieri nella pineta che portano fino alla porta d’ingresso, coloratissima, è incastonata in una densa rete di mosaici realizzati con tegole spezzate, vetro e ceramica che disegnano angeli, stelle e motivi floreali.

«La vita qui non è facile, bisogna sempre adattarsi».Ci dice.«Questo posto presto diventerà un luogo di preghiera aperto a tutti».

Isravele inizia così a raccontarci l’affascinante storia che lo ha condotto sulla cima del monte che sovrasta Mondello: «Un giorno Dio mi apparve in sogno, indicandomi un luogo preciso dove creare un Santuario per salvare le anime. Questo luogo è qui».

Non sempre accoglie i visitatori nel “Tempio”, la torre del complesso borbonico. Io ho avuto il privilegio di poterla visitare e sono rimasta stupefatta dalla quantità di mosaici realizzati; non c’è un solo centimetro quadro di muratura lasciato esposto. Muri, tetti, finestre, tutto è ricoperto da mosaici realizzati con conchiglie, pezzi di terracotta, ceramiche e vetri che disegnano motivi floreali, cuori, simboli religiosi, giganteschi mandala.

La dimensione di quest’opera, che può a tutti gli effetti considerarsi “outsider art”, è la dimostrazione materiale dell’immenso universo spirituale di Isravele. «Tutti i muri erano ricoperti da graffiti – dice passando il palmo della mano sui suoi preziosi mosaici – Ho iniziato a ricoprirli con queste tesserine seguendo l’ispirazione che mano a mano ricevevo». Il sito è ovviamente diventato meta di pellegrinaggio da parte di turisti e curiosi, una pressione sempre crescente che Isravele sembra in parte non gradire più. «Le persone vengono qui soltanto per scattare fotografie, senza curarsi del significato del mio lavoro e dell’ascesa a questo luogo». Il sentiero di accesso, che parte dalle falde di Monte Gallo ed arriva in cima, è stato da lui ribattezzato “la Via Santa”: un percorso di circa 2 km impreziosito con piccoli mosaici, pecorelle, e altri simboli religiosi, che porta il visitatore ad “elevarsi” (“elevarsi” è anche il nome scelto da Nino, letto al contrario) non solo di quota ma anche spiritualmente.

«Salire fin quassù significa compiere un cammino di elevazione spirituale ». Credenti o no, se volete ammirare le opere straordinarie di questo piccolo grande uomo, avvicinandovi con rispetto e delicatezza al suo affascinante microcosmo, non vi resta che raggiungere a piedi la sommità di Monte Gallo.